sabato 15 marzo 2008

lunedì 21 gennaio 2008

La matericità dell’opera di Emanule Rossini, fatta di grumi e ammassi gessosi di spessore sulla tela, pur negando un esplicito figurativismo rimanda chiaramente alla spumosa mobilità dell’acqua e dell’aria, nelle quali diafane figure sembrano tuffarsi e muoversi.

Sotto gli occhi dello spettatore si anima un paesaggio fluido, brillante, dove la calda luminosità, che incide sull’impasto polimaterico, libera sinfonie di onde generate dal movimento ovattato e avvolgente dell’elemento naturale….e il paesaggio si interiorizza nello spettatore, divenendo emozionale e musicale.

Cristina Aglietti

L’architettura del bianco

Quella di Emanuele Rossini è un’arte che emerge. Nel senso letterale del termine. E’ la tela che si fa bassorilievo. Rossini non dipinge, piuttosto scolpisce, costruisce, architetta.
Nei suoi lavori vediamo un magma indistinto di materia – carta, gesso, stucco – acquistare miracolosamente forma volume e infine vita, e diventare la rappresentazione plastica di una personalissima visione del mondo. A tratti cruda, feroce, nichilista, a tratti invece solenne, mistica. Di sicuro mai banale, anche nelle opere che tradiscono una figuratività abiurata dall’artista, ma visibile ancora sottotraccia.

E’ la purezza del bianco ad “elevare”, rendendola quasi sacrale, la carnalità della materia con la quale l’artista-architetto ha voluto “sporcarsi” la mani.
Questa originale cifra stilistica informa tutta la più recente produzione artistica di Rossini. Accostarsi a questa produzione è un’esperienza. Dei sensi prima di tutto, e poi dello spirito.
A tratti, davanti al vertiginoso impasto di forme, alle spettacolari torsioni e sovrapposizioni dei corpi, al bianco abbacinante, ai volti deformi e allucinati che si indovinano in alcune opere, ci si ritrae storditi. Ma è questione di attimi. Subito dopo si finisce rapiti, sopraffatti dalla sensualità della materia. E l’iniziale senso di disagio, ostinatamente ricercato dall’autore, si risolve in una contemplazione finalmente rasserenata, diciamo anche estatica della cosmogonia rossiniana.
E l’arte torna a essere catarsi.

Massimiliano Conti

Emanuele Rossini’s art rise out, in a literal meaning. It is the canvas that becomes “bassorilievo”, Rossini doesn’t paint, he sculpts and builds. Architecture. In his works we can notice a distinguishable magma of raw materials such as paper, plaster, chalks, becoming, as per miracle, form, volume, and eventually life. His art turn out to be the plastic representation of a very personal vision of the world. Sometimes raw, brutal, nihilist , some others, mystic and solemn. For sure it is never ordinary or predictable.

It is the purity of the White that “ascend“ becoming almost sacred and also the carnality of the material with which the artist-architect has wanted to get his hands “dirty”. This original stylistic code is present in the current artistic production of Rossini. Getting a closer glance at his art is an experience first of all of your senses and second of your spirit. Sometime, in front of the dizzy mixture of forms, the superimposition of bodies, the blinding white, and the disfigured and hallucinated faces, that you can conjecture in his canvas, you feel like astounded. But it is matter of time. Immediately after you feel like conquered, dominated from the sensuality of his painting. The first sensation of nuisance, sought by the artist, change in a finally peaceful and ecstatic observation of Rossini’s cosmogony. And his art return to be catharsis.

Massimiliano Conti

Maggese




Sovrapposizioni


Cammino

Stop

Giardino di gesso

L'architettura moderna, quella che ha segnato almeno i primi cinquant'anni del '900, ha usato il bianco come una bandiera.
Il bianco è stato come il collage per i cubisti, come l'oggetto industriale per l'arte pop, un mezzo per parlarsi da lontano, la lingua con la quale si costruiva una comunità internazionale intorno ad una ricerca comune.
Emanuele Rossini lo eredita da architetto e lo usa da artista. I suoi ultimi lavori sembrano colati in un latte bianco aspro, in una nebbia lunare che, come è destino dell'arte, inquieta per avvenuta identificazione.
Per paradosso chiamiamo l'epoca in cui viviamo "globale", essendosi rotto ogni legame fra le parti, sconquassata la pangea sociale e sentimentale che la storia e le utopie di quasi due secoli avevano costruito.
Il bianco che Emanuele Rossini eredita dalla tradizione italiana ed europea - dall'architettura moderna classica o dalle ricerche formali dell'arte degli anni '50 e '60 - non ha l'ambizione stupida di restare ciò che era né diventa lo strumento per aderire al crepuscolo del linguaggio non gloriosamente internazionale, ma internazionalizzato che rende l'arte qualunque, banale, tragicamente senza contesto.
Il velo bianco che ricopre tutti i suoi lavori recenti, sotto il quale dilagano centinaia di piccole figure umane come acari, come parassiti tristi, mantiene la sua aspirazione universale più autentica rivelando la frattura con una storia "terrestre", direbbe Edgard Morin, che sta tragicamente tramontando ma nella vertigine della sua risacca riporta a riva l'eterno bisogno di felicità.

Marta Francocci

Modern architecture of the first 50 years of the 19th century has used white as his standard.
White has been used by Cubism as collage art, by Pop art as industrial object; It has been used as a medium to communicate from long distances, as a language utilize to build an international community around a cooperative study.

Emanuele Rossini inherits the use of white as an architect but he utilizes it as an artist. His latest canvases seem drained in white acid milk and coiled in a lunar fog, giving a sense of anxiety for being identify: The Art’s destiny. Ironically we are used to call our age “global”, this is due to the disruption of connection between the parts, to the destruction of the social and sentimental Pangaea that the history and the utopias of almost two centuries had created.

Emanuele Rossini inherits the White from Italian and European tradition, from the modern architecture, and also from the formal researches of the 50’s and 60’s years but he doesn’t have the stupid ambition to continue what it was in the past or to use it as an instrument to adhere to an internationalized language which convert art into something banal, dramatically without a meaning.

Underneath The white coat that covers his latest paintings you can notice hundred of tiny human figures that look like mites, like sad parasites, the white coat also continue his universal and genuine inspiration, showing the rupture with the “earthly” history, like Mr. Edgar Morin would have said, which is dramatically vanishing nevertheless bringing back the eternal aspiration to happiness.

Marta Francocci